NATURAL RUNNING

 

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SERGIO BENZIO
Dott. in Scienze motorie e sportive
Preparatore fisico
Istruttore nordic walking

Per capire bene cos’è il natural running o, meglio, la corsa naturale, così come per tante altre cose, basta comprendere bene le parole che ne esprimono il concetto.

Tutti sappiamo cos’è la corsa: per l’essere umano è un modo di muoversi, uno dei più arcaici, risale infatti ai primi momenti dell’evoluzione in stazione eretta. E’ mio parere che non è quello per cui siamo nati; ritengo in proposito che sia il cammino la modalità più consona all’essere umano, ancorchè la corsa sia comunque un’attività che tutti hanno praticato anche se solo per brevi periodi della vita, a volte anche inconsapevolmente, come per esempio da bambini per gioco. L’aggettivo “naturale”, che ad un primo impatto conferisce un che di zen al concetto, semplicemente richiama il fatto che ciò che andremo a trattare altro non rappresenta che il modo di correre biomeccanicamente più naturale per l’essere umano, quello cioè che tutti noi abbiamo dentro e che viene "distratto" dall'utilizzo massivo e soprattutto precoce delle calzature. 



Non è forse vero che vediamo bambini in età infantile non ancora in grado di camminare ma già con i piedi chiusi dentro buffe e costosissime scarpine per fini bambinispiaggiapuramente estetici? Ci siamo mai chiesti se questo sia un bene per la mobilità delle dita dei piccoli umani in rapida crescita? Perché inibire loro di “maneggiare” i piedini? Cosa che peraltro i piccoli fanno usualmente e che diverte loro particolarmente.
Bene, partiamo subito da come corrono i bambini: essi sono dei “natural born runner”. L’istinto li porta a fare ciò che si deve fare, sia che lo facciano a piedi nudi sia che lo facciano con le scarpe; osservateli, basterebbe assecondare questo istinto.

 

Per motivi culturali e per necessità correlate agli ambienti in cui viviamo, tendiamo, invece, a cercare immediata “protezione” per il piede. Questo lo inibisce nella sua funzione originaria che viene sostituita dalla calzatura e più questa è tecnologica più inibisce l'arto. Nel piede ci sono strutture di finissima sensibilità; l’architettura del piede è uno straordinario esempio della potenza della natura e delle capacità di adattamento del corpo umano. E' un vero peccato che se ne inibisca il corretto sviluppo e se ne favorisca uno inverso, perché il corpo umano si adatta anche al non utilizzo di sue parti non più apparentemente necessarie.

Comunque nonostante ciò, alcuni mantengono questa capacità di correre in modo naturale; circa il 25% dei corridori sono natural runners, ma il restante 75%?

joggingIn lingua inglese li si può definire “heel strickers”, mentre nella nostra lingua potremmo definirli “corridori con propensione all’appoggio di retro piede” e ne rappresentano un grosso numero; io stesso nel mio passato di maratoneta agonista facevo parte di questa categoria. Questo è dovuto alle ripercussioni che ha avuto l’avvento del “jogging”. “To Jog” in inglese ha diversi significati, tra i quali “procedere a scatti” e “procedere adagio”. Il primo è strettamente correlato con l’andamento delle forze durante l’azione - lo vedremo meglio quando si tratterà la biomeccanica della corsa - il secondo fa ben comprendere l’intenzione di proporre un’attività “soft” adatta a tutti.

Fare jogging voleva essere una via di mezzo tra la corsa e il cammino, di quest’ultimo mantiene l’approccio di tallone al terreno. Ciò tuttavia ha creato un aumento dell’incidenza dei traumi alle strutture osteo-articolare dell’arto inferiore e allora si è pensato di sviluppare calzature “protettive” per assorbire l’impatto con il terreno che, partendo dal tallone, portava a sovraccarichi in vari punti critici: tallone, caviglia, ginocchio, anche, schiena. Ma era la cosa giusta da fare? Economicamente sì ! In realtà l’unico reale risultato ottenuto è stato di sgravare il piede dal suo lavoro sostituendolo con strutture e materiali che, per quanto tecnologici possano essere, sono lontanissimi dall’efficienza delle strutture del corpo umano. Diciamo che si è spostato il problema traumi ad un livello superiore, senza peraltro risolvere le problematiche del piede.

Abebe_Bikila_maratona_olimpica_Roma_1960
Abebe Bikila

Un’altra categoria di natural runner è quella degli atleti che praticano velocità e mezzofondo. In particolare è da quando esiste l’atletica che si corre natural e le scarpe specifiche sono progettate proprio per questo tipo di corsa, infatti in questo tipo di calzatura il tallone non è pressoché rappresentato. In passato alcuni atleti di altissimo livello hanno addirittura corso scalzi in competizioni Olimpiche sia su strada, vedi l’etiope Bikila, oro nella maratona Olimpica di Roma 1960, che in pista, vedi Zola Budd, mezzofondista sudafricana di razza caucasica .

Le popolazioni africane (ma non solo) che hanno seguito un cammino culturale ed economico diverso dal nostro corrono natural senza neanche porsi il problema; è il loro modo di correre e lo fanno in maniera automatica. Forse è ora di ricominciare a fare come loro invece di ammirarli e basta.

Ma allora cosa c’è di nuovo sotto il sole? In realtà il messaggio è che bisognerebbe ritornare a qualcosa di antico, anzi, addirittura arcaico per la nostra cultura: la corsa dei nostri padri, nonni, avi, che per lunghi periodi dell’anno camminavano e correvano scalzi per le campagne e per le periferie delle città. Non per moda o per filosofia ma solo perché i nostri piedi sono progettati per determinate funzioni e sono molto più efficienti di qualsivoglia supporto tecnologico, vanno solo ri-educati. Tale concetto mi preme particolarmente perchè questo passo “indietro” rappresenta, in verità, a mio giudizio, un “andare avanti” e richiede da un lato competenza, attenzione, professionalità da parte di chi ne parla e, dall'altro, consapevolezza in chi riceve l’informazione.

 

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