PODISTA & SCRITTORE

Dora_Baltea_Divisa   Bartolozzi_Paolo

PODISTA & SCRITORE 

Paolo Bertolozzi è un atleta della Società PODISTICA DORA BALTEA che unisce alla passione per la corsa quella per la scrittura. La PODISTICA DORA BALTEA è una Società affiliata alla U.I.S.P. fondata nel 1987. Paolo Bertolozzi ha recentemente partecipato ad un concorso dal tema "Io e il mio amico", organizzato dalla PRO LOCO  di Coarezza, presentando un proprio breve racconto. Il racconto di Paolo è stato selezionato tra gli oltre 400 partecipanti, giungendo a fare parte dei 6 racconti finalisti. Sabato 11 giugno si è tenuta la premiazione del Concorso a Coarezza, piccolo paesino di 600 abitanti in provincia di Varese, nei pressi del Lago Maggiore e del Parco del Fiume Ticino. Tutti gli abitanti del piccolo paese hanno ascoltato la lettura dei 6 racconti finalisti e la giuria ha classificato quello di Paolo al terzo posto !

Concorsi_letterari_coarezza

Il racconto si  intitola "Volata a due" è ambientato durante la Mezza Maratona di Strambino, usa nomi di fantasia ed  è davvero bello. Ve lo proponiamo con grande piacere, cogliendo l'occasione per fare i complimenti meritati a Paolo Bertolozzi ! Per conoscere meglio il podista & scrittore Paolo, andate a visitare il sito  :

https://sites.google.com/site/bartolozzipaolo/

Volata a due

Quella nuca! Ormai avevo imparato a riconoscere quei capelli appena ingrigiti e quell’incipiente calvizie che cominciava a farsi largo al centro della “piazzetta”. Avrei potuto riconoscere ogni singolo capello tanto mi ero abituato a stargli dietro. Erano già tre gare che Gigi, il mio compagno di squadra della Podistica Dora Baltea, mi arrivava regolarmente davanti e io non potevo fare a meno di pensare che, fino a non molto tempo prima, riuscivo a dargli anche mezzo minuto al chilometro, e anche di più se la gara era in salita. E proprio mentre stavo pensando alle salite e alle difficoltà che queste, da tre gare, avevano cominciato a crearmi, io che in salita mi ero sempre sentito a mio agio come gli stambecchi della vicina Valle d’Aosta, giungemmo al quinto chilometro della maratonina di Strambino.

Strambino

Qui iniziava uno strappetto che portava la corsa, lasciata la provinciale per Vischè, a raggiungere l’avioarea e a sfiorare il lago di Candia. Non appena la strada cominciò a inerpicarsi, una fatica inusuale, a cui stentavo ad abituarmi, mi attanagliò le ginocchia. Terminata l’ascesa e ripreso il tratto pianeggiante che portava all’abitato di Vischè, la nuca, senza nemmeno accennare a voltarsi parlò: “ Come va?” “Benissimo.”  Risposi, cercando di mascherare, invano, l’affanno. “ Ti sento affaticato.” Commentò Gigi. Io strinsi i denti e non risposi. Il sudore mi colava dalla fronte e non potei fare a meno di notare che invece la nuca di Gigi era bella asciutta. Entrati nell’abitato di Vischè le indicazioni della maratonina si sovrapposero a quelle della corsa in notturna che veniva organizzata in quella località durante la primavera e che io avevo vinto alla grande, mentre ricordavo che Gigi non era arrivato neppure tra i primi venti. “Bei tempi.” Pensai. All’undicesimo chilometro, superata la metà della corsa, c’era il secondo dei tre rifornimenti previsti. Passammo vicino al tavolo dove  restavano ancora numerosi i bicchieri di acqua e di sali, che le gentili mani dei volontari, protese verso i podisti, offrivano a coloro che non volevano perdere nemmeno il tempo di una sia pur breve sosta. 

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Colsi dalla mano di una bella ragazza un bicchiere d’acqua mentre Gigi, ringraziando, declinò l’offerta. Subito dopo il centro del paese il percorso voltò a sinistra con una curva a gomito ed imboccò la vecchia stradale che riportava a Strambino e che correva parallela alla nuova provinciale. Iniziò una breve e dritta discesa. Mi resi conto di aver tenuto, sino allora, tutto sommato, una buona andatura. Mi sentivo ancora bene anche se leggermente affaticato. Pensai di rifiatare un po’e di sciogliere le articolazioni delle spalle e delle braccia che cominciavano a indolenzirsi. Decisi di lasciare andare Gigi che mi prese due o tre metri di vantaggio che poi recuperai facilmente appena la strada tornò a essere pianeggiante.  “Andiamo a poco più di quattro al chilometro”, fece Gigi, quasi a sottolineare che di lì a poco  l’andatura elevata avrebbe potuto presentare il conto. “Ormai è quasi fatta.” Mentii, ben sapendo che nella maratonina i chilometri più duri sono quelli tra il quindicesimo e il diciottesimo, quando non si ha più l’abbrivio e la freschezza della partenza e  non si ha ancora l’entusiasmo dell’essere in prossimità del traguardo degli ultimi tre chilometri. “Sai che vado più forte adesso di prima dell’incidente?” disse Gigi con una punta di ironia. “ Non esagerare.” Mi limitai a commentare. Quasi al diciannovesimo chilometro si eresse lo spauracchio di tutti i partecipanti alla maratonina: il cavalcavia sulla ferrovia all’ingresso dell’abitato di Strambino. Provai a forzare l’andatura ma la fatica dei chilometri percorsi e l’acido lattico accumulato mi fecero presto desistere.Iniziò l’ultimo chilometro e ancora quella nuca ballava davanti a me. Gli ultimi quattrocento metri erano in leggera discesa e portavano al traguardo posto, come sempre, davanti alla palestra comunale. Quando ci presentammo sulla dirittura d’arrivo dal gruppo di spettatori in attesa nei pressi dello striscione si alzò un grido di incitamento, quasi incurante degli altri atleti che stavano man mano tagliando il traguardo prima di noi.Quando raggiungemmo il cartello degli ultimi cento metri, come mio solito, aumentai decisamente l’andatura, che normalmente spengeva le ultime speranze di quei podisti  che erano riusciti a stare alle mie calcagna fino a quel punto della gara, e spendendo le ultime residue energie, feci uno sprint da consumato pistaiolo.Gigi tagliò il traguardo prima di me. Avrebbe voluto alzare le braccia al cielo per ringraziare i tifosi che lo stavano applaudendo e per esultare ma, la paralisi agli arti, sia superiori che inferiori, conseguenza dell’incidente di auto che lo costringeva da tre mesi sulla carrozzina a rotelle, glielo impedì. Guidai la carrozzina ancora per qualche metro dopo il traguardo poi, stanco, e con le spalle che quasi non riuscivo più a sentire dalla tensione per aver spinto per oltre ventuno chilometri, mi fermai e andai ad abbracciarlo. Lui mi guardò riconoscente e commosso, come d’altronde, commosso e, soprattutto,  riconoscente ero io. Mentre stavamo bevendo un bicchiere di tè, che qualcuno dei volontari ci portò, sentii una voce di uno spettatore che era arrivato da poco che chiedeva a un giudice chi avesse vinto. Mi venne spontaneo rispondere .... “ Io e il mio amico” 

FINE

Coarezza

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