La mia Maratona di Madrid by Paolo Marchetti

10702 secondi

IMG 20180422 075009

Giunse il gran giorno

Le Torres de Colon alle sue spalle ormai non si vedevano più, anche se le ultime batterie della griglia di partenza arrivavano fino ai loro piedi. Non la sua però. La sua, quella dei (quasi) più fighi, o dei (quasi) più presuntuosi, era quella di chi aspira a fare bene. Non ad andare forte, chi va veramente forte solitamente parte ancora più avanti, magari cinque minuti prima degli altri, per non avere intralci. Quelli "normali", trentacinquemila Scemi vestiti in modo improbabile e con colori sgargianti, si ammassavano insieme a lui sul Paseo de la Castellana, aspettando che la musica Rock sfumasse, prima dello sparo iniziale.

Novemila di questi però, erano decisamente più che semplici Scemi: erano i Pazzi, quelli gravi e talvolta molesti. Quelli che in un bel giorno di inverno avevano deciso che il 22 aprile sarebbe stato un giorno perfetto per correre senza sosta su e giù per il centro di Madrid, su un tracciato lungo un po' più di quaranta chilometri. E di pagare settantacinque euro per farlo.

 

Solo chi faceva parte di questo gruppo di Pazzi poteva forse capire cosa stesse passando nella loro testa in quei minuti prima della partenza. Capire cosa ci fosse dietro le loro facce sorridenti,

IMG 20180424 080003

 

ma al contempo visibilmente emozionate e preoccupate, alcune addirittura commosse.

 Poi calò il silenzio 

Lo speaker aveva da poco accompagnato la partenza di quelli bravi, quelli che partono prima degli altri, quelli che vengono pagati per andare più forte di tutti. Il muto conto alla rovescia teneva bloccati i Pazzi e gli Scemi, in tensione con il dito puntato sul pulsante start del cronometro e l'orecchio teso per non perdere lo sparo a salve che avrebbe dato il via all'avventura. Perché è un'avventura, certo, lo è sempre. Anche per chi è alla sua decima, ventesima, cinquantesima maratona. Ogni volta è un'esperienza nuova, stressante, dal finale mai certo.

Lui dal canto suo non si sentiva particolarmente teso. Carico di adrenalina per l'avventura sì, ma non agitato. Sapeva di "aver fatto i compiti", come gli disse il "coach" Alessio qualche giorno prima. E in effetti i compiti li aveva fatti, in quelle nove settimane che lo avevano accompagnato fino a lì. Cinquecentoquaranta chilometri. Sessanta a settimana, in media. Quattro allenamenti a settimana, un programma seguito fedelmente. Anche il giorno di Pasqua, quando il calendario beffardo gli aveva imposto l'ultimo lunghissimo da trentasei chilometri. Anche quel mercoledì sera di marzo, dopo una giornata di lavoro particolarmente stressante e con la pioggia gelida di Torino, nel pieno di uno degli infiniti colpi di coda dell'inverno. Adesso pochi istanti lo separavano dall'inizio dell'esame finale. Sapeva che aver rispettato quel calendario era un requisito indispensabile per raggiungere l'Obiettivo: tagliare il traguardo in meno di tre ore. Un Obiettivo apparentemente banale, almeno per chi non è "del mestiere". Per lui, come per molti appassionati di corsa, era diventato uno degli obiettivi da cercare di raggiungere almeno una volta nella vita.

 

E lo starter sparò

Sapeva che partire tra i (quasi) più fighi aveva diversi vantaggi, oltre a quello di potersi pavoneggiare con quelli che stanno dietro, imbottigliati per dei secondi o anche minuti dopo lo sparo prima di poter anche solo attraversare la linea di partenza.

Il poco traffico, che permetteva di impostare subito l'andatura ed evitare strappi, era sicuramente la cosa più positiva. In realtà sapeva di non poterlo del tutto evitare, lo strappo iniziale. Il profilo del percorso era ciò che lo aveva turbato di più, fin dal momento dell'iscrizione. E a pensarci bene i primi quattro chilometri in salita non erano affatto la cosa più preoccupante. Il pensiero degli ultimi dieci, in salita, continuava a tormentarlo. Avrebbe preferito ad attenderlo al traguardo una coppia di pitbull affamati. Non sarebbe stato troppo difficile convincerli che, dopo tutta quella fatica ed energie spese, non rimanesse proprio più niente in lui di cui nutrirsi. Ma adesso bisognava concentrarsi per i "primi" trentadue. Per evitare gli errori del passato aveva deciso di sfruttare tutti gli aiuti (leciti) possibili.

IMG 20180420 105336

 

Palloncini

Una delle cose più difficili, lo sapeva, era quella di non esagerare, specialmente nei primi chilometri. Il primo giro di boa alle cuatro torres, il punto più elevato del percorso, non aiutava certo in questo senso. Per fortuna, come in ogni gara lunga che si rispetti, c'erano i Pacer: figure mitologiche assoldate dall'organizzazione per attaccarsi con un filo un palloncino gonfio di elio, con un numero scritto a pennarello sopra. Il loro compito era quello di fare la gara a velocità "controllata", in modo da concluderla esattamente al tempo indicato dal numero scritto sul palloncino. Loro conoscevano bene il percorso. Per loro, quel passo di gara era un'andatura tranquilla, non faticosa. Un'andatura che permetteva loro di parlare con chi, come lui, aveva deciso di seguirli. Per dare consigli su come affrontare la gara, per spronare e motivare. Peccato che lui non spiaccicasse una parola di spagnolo.

 

Il primo chilometro

Quindici secondi più veloci del previsto. Un'eternità di anticipo sulla distanza di mille metri. Pensò che anche i pacer possono forse farsi prendere dall'entusiasmo iniziale. Giusto il tempo di accorgersi dell'errore e regolare il passo, e si sarebbe poi andati spediti e regolari fino alla fine.

Al decimo chilometro era seriamente preoccupato: tutti i passaggi erano stati più veloci del previsto e il vantaggio accumulato era ormai quasi di un minuto. Che stavano facendo? Sapeva di non poter tenere quel passo fino alla fine e non si capacitava che quelli stessero impostando la gara in quel modo assurdo. Certo avrebbe fatto comodo sapere lo spagnolo. Avrebbe potuto chiedere, magari intuire dalle brevi battute che si scambiavano, i motivi di quella folle tattica. Invece doveva affidarsi all'istinto. La scelta era tra continuare a seguirli, rischiando di cedere miseramente intorno al trentesimo chilometro, se era fortunato, oppure poteva rallentare il passo, regolandolo al suo Passo, il magico valore di 4'15"/km sul quale si era tanto allenato. La scelta andava presa alla svelta, perché anche l'istinto poteva giocare brutti scherzi con il diminuire della lucidità. Lucidità che stava crollando più velocemente del previsto, vista l'andatura folle che stavano tenendo.

 

Le discese

Sapeva che una grossa fetta centrale di gara sarebbe stata in discesa. Quello che non si capiva dal grafico del profilo altimetrico era quanto effettivamente "piacevole" questa discesa fosse. L'arrivo in volata sotto lo striscione dei 21,097 km, metà gara, con un vantaggio rispetto alla tabella di più di due minuti e una freschezza di gambe assolutamente inattesa, lo convinse definitivamente che doveva continuare a seguire i pacer. Ormai la frittata era fatta. Se avesse dovuto crollare al trentottesimo almeno si sarebbe goduto la cavalcata fino ad allora. Un ragionamento "logico" tipico di un cervello che inizia ad andare in carenza di zuccheri.

IMG 20180420 151433

 

Il Parco della Verità

Aveva deciso di ribattezzarlo così. A quel punto non poteva pretendere di ricordarsi il nome (probabilmente non se lo sarebbe comunque ricordato, nemmeno se riposato e lucido), ma di fatto quello era ciò che rappresentava per lui e per tutta la comitiva: il momento della verità, il tratto tra i trenta e i trentacinque chilometri. Si dice che nelle maratone dei professionisti (quelli che vanno forte e che partono prima) quello sia il momento in cui la gara inizia veramente. Quello in cui si può accendere la TV, per assistere all'ultima mezz'ora di eleganti e leggere falcate da due metri, compiute di solito da sottilissime gambe etìopi o keniote. Più o meno per tutti, anche per i professionisti, è il momento in cui ci si aspetta di sbattere contro il Muro. Il Muro è la metafora del crollo improvviso a cui il corpo è soggetto in questo particolare contesto di sforzo prolungato. Se va bene e si è ben preparati si tratta più che altro di un "Muretto", da saltare senza troppa fatica, al limite rallentando un po'. Se invece va male il muro è di quelli da carcere di massima sicurezza. Non si passa. Avventura finita.

In quel tracciato c'era poi anche un muro vero, ben poco metaforico. All'uscita dal parco una salita decisamente impegnativa riportava Scemi e Pazzi verso il centro città. Era riuscito a capire alcune cose importanti dalle frasi spagnole dei pacer. Una era che il vantaggio gli dissero essere di 2'50" (aveva ormai perso qualsiasi capacità di calcolare da solo i tempi previsti della tabella) , un vantaggio enorme. Un'altra cosa importante che aveva capito era che quella salitona sarebbe durata circa due minuti. Erano al trentacinquesimo, ormai fuori dal parco. Del Muro ancora nessuna traccia.

 

The stairway to heaven (Campeones!)

I pacer iniziarono a rallentare. La cosa aveva senso, visto il vantaggio accumulato e la difficoltà della salita che ormai iniziava a inclinarsi sotto i loro piedi. Ma lui ne fu quasi sorpreso. Le sue gambe non avevano alcuna voglia di rallentare, anche se con quel vantaggio e quella distanza ancora da percorrere il passo poteva essere anche di 15 secondi al chilometro più lento del magico Passo di 4'15"/km. E così, nel pieno del suo delirio ipoglicemico, decise di non rallentare, staccandosi dai palloncini.

La salita, quella vera, alla fine arrivò. Non era ripida, ma era costante e apparentemente infinita, come potrebbe apparire una lunga scalinata verso il cielo. Le gambe iniziavano a cedere, perdendo inesorabili qualche secondo a ogni chilometro.

Il passaggio del trentottesimo si rivelò particolarmente critico. Tutti i neuroni dentro di lui gridavano di fermarsi, come una folla che protesta e chiede ai governanti di dimettersi. Ma i pochi reazionari, quelli inspiegabilmente ancora lucidi e in grado di elaborare informazioni sensate, riuscirono con un po' di matematica a sedare la rivolta: il vantaggio era ancora abbondante, tale da potergli permettere alla peggio un passo di 5'/km fino alla fine. Era un passo ridicolo, che di solito teneva in allenamento nei primi 5 minuti di riscaldamento. Il fatto che i pacer fossero spariti alle sue spalle gli diede la spinta emotiva finale. Gli era infinitamente grato, ma voleva dimostrare, più che altro a sé stesso, che poteva concludere da solo.

Gli ultimi due chilometri furono lenti, ma non così lenti. La folla festante era sempre più densa. "Campeones!" gridavano, applaudendo. Un aiuto insperato ma efficace, tanto da strappargli un sorriso e fargli allargare la mano verso qualcuno dei bambini che, a bordo strada sui marciapiedi, tendevano la loro speranzosi di battere il cinque a tutti i Pazzi che gli passavano davanti.

 percorso

Lacrime

E quasi all'improvviso apparve. Una sottile striscia bianca proprio laggiù, dove le linee prospettiche degli alberi ai lati del Paseo del Prado si incontravano. Il traguardo c'era, e si stava avvicinando. Lento, ma concreto e inesorabile. Ormai tutto si offuscava nella sua testa: i faticosi calcoli sui tempi e sulle velocità si stavano sgretolando in un groviglio di numeri, e di "s" e di "km". Il pensiero di quel traguardo da superare a braccia alzate si era insediato prepotentemente e occupava ogni angolo della sua mente.

Iniziò a distinguere i numeri che scorrevano sul display digitale e che indicavano il tempo ufficiale di gara. Il primo, grazie al cielo, era ancora un 2 (ore). Il secondo riuscì comunque a sorprenderlo nonostante lo avesse, seppur con difficoltà, stimato più volte nell'ultima mezz'ora di fatiche: 58 (minuti). Era proprio vero, era riuscito a conservare una buona fetta di quel vantaggio mostruoso che la guida con il palloncino gli aveva comunicato più di dieci chilometri prima.

Il biiip del transponder, che leggeva il chip identificativo attaccato al suo pettorale, suonò puntuale nel momento in cui varcò il traguardo, quando sul display l'ultimo numero segnava 22 (secondi).

Ce l'aveva fatta. Non con i dieci secondi di vantaggio che si era augurato all'inizio. Più di un minuto e mezzo. Incredibile. I pacer avevano avuto ragione, ma lui sapeva che senza quelle nove settimane di scrupolosa preparazione, talvolta di sacrifici (suoi, ma anche della sua ragazza e dei suoi amici che avevano sopportato i barbosi resoconti dei suoi allenamenti), non sarebbe potuto arrivare a quel risultato.

Appena ruppe il Passo, oltrepassato il traguardo, anche dentro di lui qualcosa cedette, e pianse. Quasi senza lacrime, che di liquidi residui non gliene rimanevano molti. Una sensazione strana, nuova per lui. La stanchezza lo stava divorando da dentro, partiva dalle gambe per arrivare fin su alle spalle e alle braccia, passando dalla schiena. Ma era dal petto che invece sentiva partire l'ondata di adrenalina, che gli saliva fin su alla testa e sfociava come un geyser nelle lacrime e nella pelle d'oca sotto i capelli.

Lasciò sfogare questo contrasto interno di forze cercando di continuare a camminare, claudicante, per non far irrigidire le gambe. Ora lo attendeva il rientro verso il B&B: il ritiro del borsone, le scale della metro, altri calles da percorrere. Ma non gli importava nulla: aveva dato una spallata al muro delle tre ore. Tutto il resto sarebbe stato una passeggiata.

Effettua il login per poter scrivere un commento